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Mosse conversazionali e difficoltà nel dialogo tra aziende

__________________________ Articolo Copyright. Estratto dal volume Negoziazione Interculturale, di Daniele Trevisani – http://www.studiotrevisani.it – http://www.danieletrevisani.com La difficoltà comunicativa esiste quotidianamente nel dialogo tra aziende, vediamo questo caso di micro-dialogo tra C – un consulente e I – un imprenditore, i quali si trovano presso l’azienda di I una mattina su richiesta di I stesso: C1:…

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Articolo Copyright. Estratto dal volume Negoziazione Interculturale, di Daniele Trevisanihttp://www.studiotrevisani.ithttp://www.danieletrevisani.com

La difficoltà comunicativa esiste quotidianamente nel dialogo tra aziende, vediamo questo caso di micro-dialogo tra C – un consulente e I – un imprenditore, i quali si trovano presso l’azienda di I una mattina su richiesta di I stesso:

C1: Quindi lei mi diceva che vorrebbe fare un intervento di formazione sulla Sua rete di vendita?

I1: Sì, vorrei fare un pò di sana formazione.

C2: Su quali problemi vorrebbe agire? Quali sono le problematiche principali dei venditori al momento?

I2: Beh, sa, è gente preparata…con esperienza… ho persone di alto livello…

C3: Uhm, bene, ha già un’idea precisa dei tempi in cui vorrebbe fare la formazione?

I3: Beh, penso che in un paio di giorni si potrebbe fare no? Oppure possiamo fare alcuni pomeriggi. Quante ore servono secondo Lei?

C4: Mah, forse bisognerebbe prima cercare di capire quale impostazione dare all’intervento. Lei è interessato ad un intervento sulle risorse umane personalizzato e dedicato solo a voi, o a far partecipare i suoi venditori ad un corso a catalogo in cui i suoi siano “mescolati” ad altri partecipanti?

I4: Mahh, che differenza ci sarebbe?

C5: Beh, sicuramente la personalizzazione è diversa.

I5: Voi quanti corsi sulla vendita avete fatto ad aziende nel nostro settore?

C6: Guardi, abbiamo fatto molti corsi, non credo però che sia importante in quale settore, la formazione sulla vendita è una formazione sulla comunicazione, i temi da trattare sono di psicologia della comunicazione, comunque. Quale prodotto si venda non è in realtà così significativo.

I6: Ma, sa, io non vorrei un corso troppo teorico, mi serve qualcosa di applicato al mio settore, avete un elenco delle vostre referenze?

Sappiamo che questa trascrizione non può riportare tutta la ricchezza di un vero dialogo. Ad esempio, in una trascrizione – non riportando la sovrapposizione del parlato, o ancora le esitazioni di chi parla e le espressioni facciali che accompagnano la voce – tutto sembra ridursi ad un semplice ping-pong comunicativo mentre la realtà di una conversazione è più complessa e ricca. Tuttavia anche con queste limitazioni, un brano si presta a riconoscere alcune mosse, alcune strategie dei comunicatori.

Ogni brano di questa conversazione può essere analizzato come un insieme di mosse conversazionali. Ogni mossa porta con se un’enorme mole di significati e di sistemi di significazione (sistemi culturali sottostanti).

Ogni mossa ha una valenza specifica, può essere o meno collaborativa, più o meno strategica, ma assume comunque importanza.

Vediamo subito che B rifiuta di esporre i problemi della sua rete di vendita (mossa I2, traducibile come un rifiuto nel dare una risposta diretta), e allo stesso tempo nella mossa I3 espone una visione di formazione come “fare ore”, non come “processo di crescita”.

Nella conversazione, C si concentra sulla analisi delle esigenze del cliente, mentre I attua un depistaggio conversazionale che sposta il focus sul curriculum di C, e lo distoglie sui suoi bisogni di formazione (mossa I5, dove l’imprenditore chiede al consulente quanti corsi abbiano già svolto per aziende simili alla sua).

C cerca di riportare il dialogo sull’asse dell’impostazione da dare al corso, (tentativo di ricentraggio conversazionale), mentre I – nella mossa I6 – continua nelle sue manovre di spostamento della conversazione dal bisogno formativo della sua rete vendita all’analisi del curriculum del consulente.

Nella mossa I6 inoltre esegue un primo attacco (sebbene velato) verso C, dichiarando che non è interessato ad un corso teorico, e quindi dando per scontato che il corso – senza la sua opera di inquadramento – sarebbe stato impostato in modo teorico.

Proseguendo, le divergenze culturali di fondo emergeranno con ancora maggiore forza, sino alla possibile conclusione, che sarà un conflitto aperto di culture, un nulla di fatto, o un accordo.

Tuttavia, senza “smontare” la comunicazione (in questo caso, riconoscere la valenza culturale e strategica delle mosse) l’esito sarà un probabile fallimento.

La negoziazione interculturale richiede quindi una grande attenzione alle mosse conversazionali, prima ancora che a grandi strategie negoziali che possono fallire se male applicate sul campo. La negoziazione tra aziende si misura nel teatro vero della comunicazione che è la conversazione negoziale.

Principio 10 – Gestione delle mosse conversazionali

Il successo della comunicazione interculturale dipende dalle competenze comunicative di:

  • gestione strategica delle proprie mosse conversazionali;
  • riconoscimento delle mosse conversazionali altrui e del loro intento strategico sottostante;
  • smontaggio ed esplicitazione (immissione aperta sul tavolo negoziale) dei sistemi di significazione della controparte.

Ogni mossa ha il suo peso. Come riporta Zorzi:

Saville-Troike (1992) mette in evidenza il disagio che deriva dal fatto che i partecipanti all’interazione non chiariscono i presupposti del loro comportamento. All’inizio di un corso di inglese per stranieri, fu chiesto agli studenti di presentarsi agli altri con il nome di battesimo. A giro di tavolo tutti dissero il loro nome, finché un anziano signore giapponese annunciò: “Voglio essere chiamato signor Tanaka”. Questo gelò l’insegnante e gli altri studenti. Ovviamente era suo diritto essere chiamato in maniera formale, ma gli sarebbe stato utile sapere che, in quel contesto, il suo atteggiamento suonava distante, scortese e veniva interpretato come segno di poca amichevolezza.

In quest’ultimo esempio sembra fallire la reciprocità di atteggiamento su cui si fonda la competenza comunicativa interculturale: è sbagliato aspettarsi che l’adeguamento debba essere unilaterale e completo: la migliore dimostrazione di competenza interculturale sta nel chiarire che cos’è la tua identità culturale e nel segnalare all’interlocutore che ti aspetti che lui voglia venirti incontro, proprio come tu sei disposto ad andare incontro a lui. (Dirven & Pütz, 1993: 152).

Ancora una volta sottolineiamo come il successo nella negoziazione, o meglio la probabilità di successo, possa essere accresciuta solo da un’adeguata preparazione sulle communication skills interculturali, che comprenda sia l’analisi dei meccanismi della comunicazione efficace (elemento trasversale ad ogni negoziazione), che il suo adattamento cross-culturale (specifico rispetto alla cultura con la quale si deve interagire).

Esistono numerosi strumenti seri per la formazione alla negoziazione interculturale, nei quali si apprende ad interagire con consapevolezza. Tuttavia, nelle aziende – in nome della costante mancanza di tempo – si materializza la ricerca della scorciatoia, il ricorso a regolette semplici con cui inquadrare un campo che nulla ha di semplice, un approccio da “one minute management” di assoluta superficialità, per trattare problemi che richiedono invece estrema dedizione.

Una regola va adattata al contesto in cui si applica (spazio, tempo, luogo, situazione, persone) e da cui è scaturita. I mutamenti culturali oggi sono così rapidi che la reale nuova competenza non è quella derivante da regolette comportamentali dell’ultimo minuto, ma da una competenza aumentata e allargata a tutto il processo comunicativo e dalla capacità di adattare le proprie risorse caso per caso.

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